Ho acquistato questo libro d’impulso sull’onda delle ottime recensioni di Wu Ming1 e Giuseppe Genna (tra l’altro, 2 esempi di come si dovrebbe fare una buona recensione di un romanzo: vedi link).
Alla fine, non è che le condivida poi molto. In 2 parole, non mi ci sono appassionato a questo romanzo. è una bella storia, un confronto impietoso tra la “famiglia” tradizionale italiana di matrice borghese, apparentemente statica e felice ma che in realtà sotto l’ordinaria amministrazione trasuda veleni, malignità e insofferenza per i grandi dissapori ma anche per insopportabili tic quotidiani; e, diciamo così, un concetto di famiglia più evoluto, più moderno se vogliamo, dove non sono i legami di sangue che contano ma i legami affettivi, le esperienze comuni, i ricordi, la quotidianità. Anche tra persone apparentemente slegate e diverse tra loro. Bella e suggestiva la narrazione a 3 voci dei protagonisti, stilisticamente c’è da dire che l’autrice è molto brava, manca però qualcosa, come se il romanzo non fosse riuscito a pieno. Troppe volte dà l’impressione che certi episodi, certi accadimenti, siano poco funzionali ma appesi, un po’ slegati dal contesto. E certi altri, come il rapporto maturo ma ancorato ai ricordi giovanili tra Isayas e Tina, troppo poco approfonditi, come se in realtà tale relazione si basi su quanto c’è stato prima, e non su quanto c’è ora e quanto si sogna o si pensa ci sarà poi. Insomma, non un libro da dimenticare, ma un libro che da parte mia sarà presto dimenticato, purtroppo. Càpita.